LUIGI GAY
Luigi Gay nasce nel 1904, ultimo di sette figli in una famiglia di contadini, in provincia di Treviso a Moriago. In seguito alla Grande Guerra il paese si chiamerà Moriago della Battaglia!
E il Piave diventerà fiume sacro per il sangue di cui si è colorato: rosso di indistinta nazionalità. Sangue di quei soldati, troppi di qua e di là, la vita dei quali è stata dilapidata: una insignificanza, un non-valore!
Mi sono chiesto, e non mi è dato sapere, quanto abbiano inciso nella vita del giovanissimo Luigi Gay, non già la retorica e il trionfalismo di una vittoria soprattutto propagandata, ma la concretezza della immane tragedia consumata e subita in presa diretta dalla piccola comunità trevigiana e dalla già povera famiglia.
Forse la sensibilità accentuata, essenza del suo essere artista, è stato il contrappeso al tanto scempio.
Forse, anche a se stesso irresistibile, la sua generosità è il tentativo di un riequilibrio a fronte dell’egoismo cieco delle logiche di un potere instupidito.
Vive una vocazione rara, accompagnata dall’incomprensione acuita nella realtà di una comunità economicamente povera, ma non meno ricca di talenti . Qualcuno però capisce e lo indirizza a Venezia dove la capacità viene riconosciuta e viene accolto da chi lo può aiutare e indirizzare (famiglia Rosso, Ciardi e Cadorin) all’Accademia di Belle Arti (forse sarebbe più corretto dire che viene adottato, perché è di una paternità che abbisogna l’artista, così come abbisogna l’uomo).
Così viene introdotto all’arte e ai salotti nobili, dove riceve lezioni di disegno e di… galateo: imparerà ciò che non avrebbe potuto a Moriago, la tecnica dell’arte, e le maniere amabili, le espressioni educate e sempre rispettose, che ha inteso trasmettere e preteso dai figli!
Può essere una specie di sconfitta la povertà, ma può anche modellare una umiltà ed una umanità frutto diretto dell’humus, il fertile terreno che mette in relazione dal basso, dove le occasioni altrimenti resterebbero ignorate e inesplorate.
Unita alla dignità può inoltre favorire la libertà, perché l’umiltà non ha interessi da giostrare, o salvaguardare, né steccati da fortificare.
L’artista Gay esce dunque allo scoperto armato di grande sensibilità e di quell’entusiasmo che lo caratterizzerà per tutta la vita.
(La parola entusiasmo contiene l’espressione in greco en-theós e significa in-Dio! Ogniqualvolta, il suo utilizzo mi colpisce sempre molto e mi viene spontaneo di cercarne il significato profondo. Chi lo possiede, questo en-theos, si trova in relazione con lo Spirito –ispirato, si dice- e, se è lo Spirito che crea e muove le cose, a Lui si riferisce e da Lui trae motivazione: perché è lo Spirito che chiama!
La chiamata, la vocazione! Siamo abituati a riferirla alle persone religiose, ma una chiamata è rivolta a ciascun uomo e a ciascuna donna. Non fa eccezione l’artista, ché non altrove scoprirebbe vie intime e inaspettate, condivisibili e durevoli nel tempo. Attraverso l’abilità, sì, ma nello Spirito che ne è la fonte!).
Luigi Gay vive le varie vicissitudini che la vita non gli risparmia. Insegna per un periodo nelle scuole pubbliche e private. Giunge a Trento e all’età di cinquantadue anni si sposa. La moglie, signora Bruna, lo sostiene e incoraggia. Nascono due figli, Maria Grazia e Andrea. Le esposizioni e l’attività artistica continua con ritmo instancabile fino all’ultimo giorno.
Il Pittore, l’Artista, l’Uomo.
Non tutti i pittori sono artisti, non tutti gli uomini sono pittori. Un artista può essere pittore, o scultore, o poeta, o altro ancora… però non può non essere un uomo!
I tre aspetti in Luigi Gay si compenetrano e sono praticamente inscindibili. Le scelte dell’uno sono desunte dall’altro e si sommano.
L’umanità quindi resta alla base dell’artista e ne costituisce la specifica unicità.
Lo ricordiamo qui a Cembra senza la pretesa di descriverne tutti gli aspetti. Anche la scelta delle opere non vuole essere scientifica e definitiva, perché l’approccio rimane quello affettivo.
Luigi Gay viene a Cembra, credo la prima volta, per presentare la esposizione di una quarantina di quadri e un nutrito numero di carboncini nel 1972 in occasione della mia prima esposizione pubblica nell’atrio delle scuole elementari.
Ripercorrendo i miei primi passi devo riconoscere che l’esempio del prof. Gay ha avuto in me un influsso non indifferente, perché ben pochi erano gli artisti alla portata, per la sua competenza, e soprattutto per la coerenza della sua persona.
Ricordo che alla presentazione augurò di portare avanti l’arte e l’orgoglio della propria valle, e che se in una esposizione almeno quattro-cinque quadri sono buoni la mostra è buona. (Forse di più non ce n’erano nella mia!).
Ho vivo ancora il ricordo di come corresse il particolare di un paesaggio che gli mostrai: con il pollice, corrompendo un po’ il bianco troppo acceso di una casa in lontananza per recuperare così una prospettiva legata al solo colore.
I colori di Gay sono accesi, forti, corposi e spessi. Spatolate decise a sostegno di un pensiero sempre delicato, di un’attenzione sempre fresca, sempre diversa e originale. Anche per lui sarebbe stata una gran noia ripetere le stesse forme, le stesse cose. In un certo senso quindi costretto a cambiare, teso a spinger-sé oltre, sempre più in là.
I soggetti sono i più vari, dipinti anche a memoria e ricordo con viva sorpresa sul suo cavalletto, cavalli bianchi in corsa, vele sul mare, cieli viola e improbabili fiori cerchiati di rossi, gialli, bianchi, blu.
I carboncini, in numero infinito hanno caratterizzato e distinto l’arte di Luigi Gay. Bianchi e neri, disegni di grande immediatezza. A volte la breve annotazione di un’idea. Segni che ci raccontano come il pittore instancabilmente riconosca nella realtà una corrispondenza intima, mai definitiva, e riformuli nei volti, nei luoghi ritratti una verità nascosta. Sembra un processo di fuoriuscita dell’elaborato precedentemente interiorizzato, ma non si sa quando, né dove: come per la fonte da cui sgorga la stessa, ma sempre diversa acqua, raccolta attraverso canali a ritroso impercorribili.
È condivisibile l’affermazione che la sua più grande soddisfazione professionale sia legata al quadro Gesù fra i Dottori del Tempio che il Parroco volle nella Chiesa di Moriago.
Ho visto quel quadro, non grande, appeso nella Cappella del Santissimo (c’è anche una Madonna e un Volto di Cristo). Sono opere molto belle e di grande sensibilità contemporanea. Non per questo astruse (a volte si ha l’impressione che solo le realizzazioni d’alambicco e incomprensibili debbano ritenersi arte contemporanea), queste sono opere della maturità piena che sommano i sentimenti di una fede retta, semplice e genuina, e richiamano senza citare la pittura veneta luminosa e rigorosa, precisa e sobria. Niente a che vedere con il barocchismo e la teatralità, né con virtuosismi acrobatici. Ma opere concrete, corporee che godono per il calore della luce solare, come le giornate del contadino che vive del frutto coltivato della terra, o le giornate del pescatore che dopo il mare, seduto a ridosso della casa riassetta le reti.
Una spiritualità limpida e profonda, vissuta con la dignità morale che appartiene a uomini che resistono, anche loro malgrado, un valore aggiunto fuori mercato in un mondo esclusivamente economico.
Forse per questo motivo l’arte non è realtà che si consuma. Non è totalmente ed esclusivamente parte di alcun tempo. Solo per una piccola porzione aderisce al tempo della nostra immediatezza, perché gratuitamente appartiene al sempre.
Sono di tale categoria le opere di Luigi Gay, come la varietà Pesche di Borgo d’Ale: una condivisione, una lode ed un grazie per la vita!
E il suo ultimo quadro le viti con l’uva matura afferma e ci rivela un simbolo, una sintesi finale, che la percezione dell’artista intuisce e riconosce, e il pittore traduce in forme e colore per mostrarci ed attestare che l’uomo vive una stagione durante la quale la sua vite, intrecciata con altre e mai da sola, trae il frutto dalla terra per immergerlo nel cielo.
marcoArman
ore 18,00
06 agosto 2010
Palazzo Barbi, Cembra